Cos’è la nudità integrale? Proviamo a definirla senza “pensarla”, più attraverso le sensazioni che mediandola con un ragionamento troppo astratto. Un po' come mi accadeva da ragazzino le prime volte che l’ho provata all’aperto, prima da solo e poi in condivisione con gli amici, nella spensieratezza emozionante del campeggio libero sulle coste della Gallura, in Sardegna, in un contesto naturale avvolgente e molto energetico. Una nudità che accade, intera.
In questo tentativo proviamo a farci aiutare dal linguaggio, perché le parole mantengono sempre delle verità originarie, nonostante le tante strumentalizzazioni e tradimenti che subiscono nel tempo a opera delle varie culture. Nudità nel linguaggio comune, in primis, indica uno stato, quello dell’essere privi di indumenti, in relazione al corpo. Un corpo spogliato di ciò che lo ricopre, che nasconde la sua nudità. Ecco, il primo elemento che mi ha sempre sorpreso: il corpo dei Viventi è sempre nudo, anche quando sia vestito. Però la nudità nel nostro pensare comune è correlata allo spogliamento. E, in particolare, al denudare le cosiddette “parti intime”, le parti genitali, e per la donna anche il seno. Uno spogliamento integrale.
La nudità pare far riferimento a quelle parti del corpo che abitualmente si tengono coperte. Si parla di mostrarsi nudo o di nascondere le proprie nudità, in pratica per celare le parti sessuali. Mostrare queste parti definisce la totale nudità. Questo è un elemento illuminante: la nudità integrale è quella che mostra anche le parti riproduttive ed erotiche. La nudità acquista un valore di stato scandaloso nel momento in cui “esibisce” queste parti genitali. Già mostrare le natiche è meno scandaloso, perché il culo viene ascritto alla “commedia” del corpo e la sua nudità è percepita come “bonaria”, ilare, un po' scurrile, ma tollerabile, salvo nel caso in cui si parli di sodomia. Le parti genitali sono invece ascritte alla “tragedia” primordiale del corpo terreno, al “tradimento”, al “peccato originale”, e la loro nudità viene colpevolizzata, per ragioni che, nel loro profondo, non sono culturali o religiose, ma sostanzialmente politiche, e che, oggi, spiegano il valore “eversivo” della nudità integrale.
Continuando nel nostro percorso linguistico, la nudità è associata a uno stato essenziale, minimale, della persona umana, ma anche delle cose e dei luoghi, persino degli stati d’animo, quando “mi sento nudo”. Nello stare spogli, lo stato effettivo del Vivente dalla nascita alla morte, è possibile prendere piena consapevolezza della propria condizione materiale, di stupefacente Materia animata, senza trascendere in un altrove ideale fuorviante e illusorio.
Questa essenzialità della nudità è anch’essa eversiva perché ci introduce immediatamente al confronto con il Limite, quello eco-logico. La nudità, così concreta, evidente, carnale, nel pensiero occidentale viene pensata come occasione di “libertà” assoluta, persino come liberazione, ma in realtà la nudità ci ricorda come l’unica possibilità di vera libertà sia rappresentata dallo stare dentro il nostro Limite biologico, materiale, una volta venuti al Mondo della Vita. In questo senso la nudità è biocentrica, e a questo baricentro ci richiama in continuazione.
Un altro pensiero errato intorno alla nudità è quello che l’associa all’uguaglianza. “Nudi siamo tutti uguali”. Niente di più falso. La nudità ha il pregio di mettere in evidenza e in condivisione le mille diversità dell’espressione corporea, esaltando l’importanza di essere tutti diversi. La nudità è espressione fenotipica, incarnazione, delle Diversità, ovvero delle potenzialità espressive del fenomeno vitale. Coprire le nudità, vestirle, vedremo come sia diventata, in parte, anche una modalità per uniformare le diversità tra umani, per omologare, mortificare i racconti individuai e per stabilire delle gerarchie sociali e di potere. La nudità non omologa, non indossa uniformi, ma manifesta la stupefacente varianza genetica e fenotipica di ogni Vivente.
La nudità, ancora, nel nostro linguaggio richiama la semplicità, la sobrietà, l’essenzialità nei bisogni. Il richiamo alla povertà, di francescana ispirazione, non come colpa ma come scelta. Si dice anche dello stile di una persona. O di un modo di fare: “essere nudo e crudo”, per dire di schiettezza, sincerità, palese verità. E qui emerge un ulteriore carattere “eversivo” della nudità: la mancanza di ornamenti. Ornamento parrebbe una parola leggera, tutta rivolta alla superficialità. Invece il suo significato etimologico è profondo riporta all’”ordine”, ma anche a un ordito, una trama, quella che ci veste, ci tiene in ordine, ci determina. Ornarsi sta per mettersi in ordine, e non solo esteticamente. Lo diciamo: “Sei in disordine! - Mettiti a posto! - Dove vai così in disordine?”, per segnalare una nostra disgressione, trasgressione, dalle modalità condivise di presentarsi e di rappresentarsi.
Gli abiti sono un po' la cosmesi del nostro corpo nudo, che lo rendono “accettabile” socialmente. E la parola “cosmesi” deriva appunto da “cosmo”, in greco kósmos, che significa proprio “ordine”, un ordine assoluto. Ma allora la nudità è disordine? È “sconcia”? ovvero capace di “sconciare” un ordine morale costituto? La nudità mette disordine alle nostre certezze ideologiche? Sconvolge i tanti pregiudizi che caratterizzano le nostre relazioni? La nudità, in effetti, pone il tema dell’incertezza e della relatività, anche della fragilità, personali e collettive. Di sicuro la semplice nudità, integrale, rompe gli schemi del nostro ordinamento relazionale. La nudità esplicita è “integralista”? È radicale? Ci costringe a confrontarci con la profondità del nostro stare al Mondo senza troppi orpelli, senza troppi ornamenti? Espone la nostra carnalità senza trucchi? La nudità è animale? Ha a che fare con il fatto che siamo animati? Che siamo vivi?
“Hai un animo nudo”, lo diciamo per rimarcare l’autenticità, la schiettezza, persino la “bontà” di una persona, quest’ultima intesa come valore umano, una brava persona. Usiamo la parola nudità per indicare la sincerità, la mancanza di finzione. Mostrare la nudità non solo del corpo, ma anche della propria personalità. Questa autenticità, con sé stessi, ma soprattutto con gli Altri, è un altro elemento destabilizzante portato dalla nudità in una realtà sociale dove l’attenzione alle apparenze prevale nella relazione fra persone e nella costruzione politica di facciata del nostro sistema sociale. La nudità è spiazzante, perché, almeno in maniera parziale, limita la falsificazione e costringe a una certa verità, autenticità. La nudità è palese.
Infine, il comune linguaggio attribuisce alla nudità un nesso con la povertà, l’indigenza, la miseria. “Ridotto in mutande”, quasi nudo, o privato di tutto, anche dei vestiti, in povertà estrema. La nudità può testimoniare una propensione alla rinuncia volontaria all’eccesso non ecologico di beni e prodotti, non per scopi ascetici, ma come rinuncia al consumismo capitalista ormai globalizzato. Condurre un’esistenza nuda diventa una possibilità ancora “eversiva”, perché la nudità mette a nudo le necessità umane fondamentali nello stare al Mondo, con dignità e possibile felicità. E allora la nudità diventa un Altrove, un luogo da scegliere, anche solo simbolicamente. Un Altrove dove ognuno può riconoscersi e stare bene. Sentirsi anche protetto. La nudità diventa la casa da abitare.
A questa analisi linguistica della nudità vorrei aggiungere altri tre aspetti che i vocabolari ufficiali non prendono in considerazione, ma che potrebbero essere utili a definire ancora più a fondo la nudità integrale. Il primo è la sensazione di abbandono che si prova in nudità. Il lasciar soli è la cifra prevalente dell’accezione del vocabolo “abbandono” nel nostro linguaggio corrente. Ma spesso usiamo questo termine per indicare un “lasciar andare”, o ancora un “lasciarsi andare”. La nudità consente momenti di abbandono. La nudità è un abbandono deliberato, autodeterminato, per giunta fiducioso rispetto al mistero della Vita. Di sicuro aiuta a lasciar andare tutte quelle sovrastrutture sociali e culturali che appesantiscono e rendono spesso infelice la nostra esistenza.
Ma in senso ancora più profondo e ben oltre il significato usuale del termine, possiamo trarre ispirazione dal suo significato etimologico più antico, che, pare, abbia origine nel provenzale arcaico, dall’espressione “être à bandon”, poi divenuta in lingua francese il verbo “abandonner”, essere in potere, da “ban” potere. Essere in potere di. È una parola complessa, un po' ostica, che ha assunto in prevalenza un significato negativo, triste, crudele. Mi piace, tuttavia, sentirla in nesso con la nudità come il desiderio di abbandonarsi, cedere alla propria natura di Corpo animato, essere in potere della propria verità carnale, rinunciando alla domanda più stupida che un essere vivente possa porsi: perché esisto? È in questo abbandono senza troppe domande che la nudità si fa esplicita, manifestazione di una condizione meravigliosamente e tragicamente inevitabile, quella della Vita. È in questo abbandono, che la nudità ci riavvicina a tutte le altre specie viventi, e alla stessa verità della Materia, che ci possiede. La nudità nell’abbandono a Sé stessi, agli Altri e al Mondo, è fratellanza.
Il secondo aspetto riguarda la nudità come condizione originaria de facto. Non si tratta di recuperare uno stato di nudità “primitivo”, il mito del “buon selvaggio” ipotizzato da Jean-Jacques Rousseau, ma piuttosto di confermare la condizione ingenua, dal latino in genus, originaria, che resta elemento imprescindibile di tutte le forme viventi, anche quando ci si veste, come nel caso della specie umana. Questa ingenuità della nudità integrale è un elemento importante in chiave di riconoscimento del diritto a stare nudi, perché aiuta a smontare il senso di colpevolezza e le ragioni culturali e politiche della “nudofobia”. Questa ingenuità determina anche la naturalezza dello stare in completa nudità, parti genitali comprese, ed evidenzia che anche la sfera della sessualità non può essere colpevolizzata o elusa laddove lo stare nudi con i genitali in vista non comporti nessun atto di violenza, di discriminazione e di imposizione forzata verso Terzi di un qualcosa di dannoso biologicamente. La nudità dichiara che la sessualità fa parte integrante e importante della pienezza della condizione umana, e che non può essere “separata”, mortificata, e ridotta alla sfera del consumo, della mercificazione relazionale, come pare ricordarci l’origine del termine “porno” dal greco “porne”, la meretrice, e dal verbo “pernemi”, io vendo, di origine ancora più antica, indoeuropea.
Il terzo aspetto della nudità è la sua “sensualità”, ovvero un richiamo alle capacità sensoriali che caratterizzano tutti gli esseri viventi. Capacità che, nonostante il progressivo affermarsi del dominio della tecnologia, risultano fondamentali per la vivenza umana. Nello stare nudi ogni senso è impegnato senza particolari filtri in una relazione rinforzata con il Mondo, l’ambiente esterno, e anche nel rapporto con altri umani o altri esseri viventi. Questa sensualità della nudità non solo è fonte immediata di benessere, di oggettivo piacere, ma rafforza due aspetti importanti dell’esperienza personale e collettiva della nudità. Accresce l’autostima verso la propria condizione di corpo vivente e allo stesso tempo incrementa la consapevolezza eco-logia della nostra fragilità, dei nostri Limiti materiali, ma anche della nostra potenza e bellezza biologica. Mette a nudo la percezione di noi stessi, immersi a pieno nel Mondo della Vita. In questo modo la nudità integrale attenua la nostra visione antropocentrica e favorisce una nuova visione biocentrica, orientata alla fratellanza fra umani e con tutte le altre specie viventi. Un esempio molto banale ma assai concreto arriva dall’esperienza della camminata o trekking in nudità vissuta in contesti naturali anche selvaggi e impervi. Lo abbiamo sperimentato in Sardegna in piccoli gruppi e abbiamo constatato come, anche in persone non specializzate in queste attività, la percezione del proprio corpo nell’ambiente naturale cresca e non sorgano particolari problemi nel gestire i movimenti e nell’adattarsi alle varie situazioni.
La nudità, per concludere, sono convinto che diventerà l’abito dell’uomo del XXI Secolo, l’abito da indossare ogni giorno, con la piena consapevolezza della nostra condizione terrestre. C’è un aspetto della nudità che fa sintesi di tutti aspetti fino ad ora esaminati: la nudità è felice. Quello della felicità è un tema attualissimo nella realtà del secolo corrente, che unisce tantissimi nel desiderio di una esistenza bella e dignitosa. Un desiderio che nei nostri tempi è urlato in silenzio, ma con crescente determinazione. La nudità, anche con i vestiti addosso, pratica sempre la ricerca della felicità nel Possibile. Agisce come prassi ecologica, con un approccio alla Vita, alla nostra biologia, che può essere etico, empatico, entusiasmante, eroico ed erotico. L’affermazione contemporanea è: io sono un individuo nudo, noi siamo una collettività nuda. Entrambi integrali.