Il naturismo.

Il naturismo.

 


Il naturismo è un pensiero ideologico che anima un movimento di persone in Europa e in diverse parti del Mondo. Nato nel Novecento, come tanti altri pensieri, si sforza di proporre una soluzione al “desiderio” umano di felicità. Nel nostro Continente lo fa con l’approccio storico della speranza di impronta giudaico/cristiana e del progresso culturale e sociale verso l’affermazione di “libertà” personali e collettive, più tipico del marxismo e del liberismo. 

Nello scegliere il termine che li rappresenta, i naturisti provano a far riferimento a un desiderio di vicinanza alla natura, di naturalezza e di naturalità nei comportamenti personali e nelle relazioni fra Altri e il Pianeta. Un riferimento che è principalmente naturalistico agli esordi del movimento, per poi diventare anche ecologista. Va detto, tuttavia, che buona parte degli iscritti alle organizzazioni naturiste e molti di coloro che si definiscono “naturisti” non seguono uno stile di vita particolare, ma sono soprattutto interessati a praticare la nudità sociale in spiagge, centri benessere, villaggi turistici, saune, piscine, ristoranti per le “cene nude”, con finalità ricreative. La reale sensibilità verso le tematiche ecologiche è tutta da verificare. 

Il desiderio di benessere, se non di felicità, viene esplicitato attraverso il vivere in nudità, privandosi di tutti gli abiti, come gesto, non solo liberatorio, ma proprio come tentativo di vivere una modalità nella quale la natura umana si manifesta con piacere. Molti, all’interno del movimento, definiscono il “naturismo” come una filosofia di vita, e secondo la Federazione Naturista Internazionale «il naturismo è un modo di vivere in armonia con la natura, caratterizzato dalla pratica della nudità in comune, allo scopo di favorire il rispetto di sé stessi, degli altri e dell'ambiente». 

Non è mai stato un movimento “politico”, anche se, in parte, ha carattere di rivendicazione sociale di luoghi e situazioni dove il naturismo possa essere praticato legalmente, senza doversi scontrare con il resto della società. Gran parte dell’azione del movimento naturista si è concentrata nella richiesta di spazi “riservati” per la pratica del naturismo, il più delle volte a scopo ricreativo, e più di recente per il “turismo naturista”, come forma di ecoturismo attivo, anche grazie allo sviluppo in Europa e nel Mondo di strutture private dedicate ai praticanti naturisti. 

All’interno del movimento, soprattutto in Italia, è prevalsa e ancora prevale la tendenza dei naturisti a isolarsi in piccoli “recinti” felici, ben segnalati, possibilmente “presidiati” dai volontari naturisti. Luoghi spesso appartati, nei quali sia preferibile non mischiarsi a chi non è nudo, i cosiddetti “tessili”, termine questo che è stato spesso utilizzato in senso dispregiativo per marcare una differenza e una contrapposizione, ma anche per esaltare un’appartenenza. 

Il desiderio di appartenenza dei naturisti a un movimento di fatto assai minoritario è uno degli aspetti centrali e più problematici del pensiero del movimento naturista, che non gli ha consentito di incidere nella società civile e di rimanere un fenomeno marginale. Davanti alla difficoltà politica di rivendicare il diritto alla semplice nudità corporea nella realtà culturale, sociale e politica occidentale, compresa la richiesta di legittimità della semplice nudità delle parti genitali, il movimento naturista è rimasto chiuso in una trincea di appartenenza, che lo ha identificato come una piccolissima minoranza di persone, che presentano la stranezza di voler andare in giro nude, e spesso lo ha esposto non solo alla derisione, ma, cosa assai più grave, all’accusa di ambiguità in relazione alla nebulosa delle “perversioni” sessuali, dei cosiddetti “atti osceni”, dell’esibizionismo, dello scambismo, del voyerismo. 

Questa rinuncia del naturismo all’affermazione della dignità della nudità umana, compresa la consapevolezza sessuale, e alla rivendicazione di un diritto alla nudità senza autorizzazioni, hanno marginalizzato il movimento. Il sistema occidentale non ha nessun problema ad autorizzare una minoranza “stravagante” di cittadini, che si definiscono “naturisti”, perché possano vivere nudi in contesti controllati, segnalati, “protetti”, possibilmente senza grandi contaminazioni con la larghissima maggioranza delle persone che potrebbero essere offese dalla semplice nudità altrui. 

Per il nostro sistema il naturismo è abbastanza tollerabile, naturalmente se viene normato. Non è il naturismo ad apparire osceno nella nostra scena occidentale. Ad essere considerata oscena è la nudità integrale. Non trova ancora pieno riconoscimento il diritto alla nudità integrale nei luoghi pubblici. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo rende necessario esaminare la nudità, sia che essa sia intesa come espressione di un’idea o di un’opinione sul corpo umano, sia come forma di richiesta o di protesta, come manifestazione del diritto alla libertà di espressione di cui all’art. 10.1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Maggiori riserve sono sollevate dalla sua possibile inclusione nel diritto alla vita privata (art. 8.1 CEDU) e alla libertà di pensiero e di coscienza (art. 9.1 CEDU), sebbene anche questa possibilità non sia stata chiaramente esclusa. La natura fortemente ideologica del movimento naturista, orientato più all’essere nudi che allo stare nudi al Mondo, non aiuta a incontrare il desiderio più largo nella società occidentale che è quello della “nudità” e non dell’adesione a uno dei tanti pensieri ideologici di derivazione novecentesca. Questa difficoltà e il limite di un approccio eccessivamente ideologico sono stati particolarmente evidenti nel naturismo italiano. 

Le vicende passate ma anche attuali ci raccontano di un proliferare di associazioni “naturiste”, spesso in forte contrasto tra di loro, e impegnate a promuovere la pratica naturista in luoghi pubblici autorizzati o in strutture private, in prevalenza esclusive e non miste. Realtà associative a carattere regionale e locale, che quando diventano di livello nazionale fanno una grande fatica ad affermarsi ed essere riconosciute, credibili, spesso caratterizzate da leadership poco democratiche e da eccessi di personalismo. 

Sono organizzazioni che hanno il carattere di associazione di tesserati, con il tradizionale bollino annuale per l’accesso a eventi e a strutture per “naturisti”. Organizzazioni che nella loro somma, non hanno mai superato in Italia i 5000 iscritti. Organizzazioni che si confrontano e si scontrano su cosa sia il vero “naturismo”, quello “puro”, e sulla propria gestione interna, mentre trascurano le tematiche chiave dell’affermazione sociale della pratica della nudità e del riconoscimento del relativo diritto. Poche le aperture verso l’esterno, se non per rivendicare l’orgoglio di “essere naturisti”, a volte con un atteggiamento di supponenza e ostilità verso i “tessili”.

Concludo questa breve riflessione sul naturismo affermando che personalmente non mi sono mai sentito un “naturista”, pur avendo seguito le vicende del naturismo italiano negli ultimi 40 anni. Sin dalle mie prime esperienze di nudità condivisa vissute a 16 anni nel lontano, 1972, ho vissuto il piacere di stare nudo e condividere la nudità, senza sentire il bisogno di definirmi, se non come una persona che ama stare nudo. Il mio non sentirmi “naturista” lo affermai per la prima volta pubblicamente in un dibattito pubblico al Festival Naturista nazionale, che si tenne in Toscana ad Albinia nel giugno del 2016, portando l’esperienza dell’Associazione regionale “Sardegna Naturista”. Era presente anche la giornalista del “Corriere della Sera”, Alda Meldolesi, che presentava il suo libro “Elogio della nudità”. Sei storie vere di nudità che hanno attirato l’attenzione, solleticato desideri, imbarazzato, scandalizzato e, in definitiva, messo in luce l’assurda complessità con cui compiamo un gesto quotidiano come toglierci i vestiti.

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